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  • Immagine del redattoreAvv. Valentino Italo Rizzo

Diffamazione via Facebook: quando si configura

Aggiornamento: 17 mar 2023



Nel nostro ordinamento la diffamazione è un reato previsto dall'art. 595 c.p., consistente nell'offesa all'altrui reputazione fatta comunicando con più persone (almeno due).


Il bene giuridico protetto dalla norma è l'onore in senso oggettivo, inteso come stima che il soggetto passivo riscuote presso il consesso sociale di riferimento.


Perché il reato di diffamazione possa configurarsi è necessario che la persona offesa non sia presente (o comunque, se presente, non sia stata in grado di percepire l’offesa );

in caso contrario, ricorrendone gli estremi, potrebbe invece profilarsi la diversa fattispecie dell’ingiuria (ora depenalizzata).

 

LA DIFFAMAZIONE VIA FACEBOOK


Nell'universo del web vigono le stesse norme prescritte per la realtà materiale, per cui postando dei contenuti offensivi si corre il rischio di essere chiamati a rispondere del reato di diffamazione.


La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 50/2017 e nella recente sentenza n. 12546/2019, ha ribadito come la diffusione via Facebook di contenuti lesivi dell’altrui reputazione integri un’ipotesi di diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3, c.p., reato punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.


La Suprema Corte, infatti, include il social network in questione tra gli "altri mezzi di pubblicità" idonei ad integrare l'aggravante di cui al predetto 3° comma, trattandosi di un mezzo "potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone".


Sulla scorta della giurisprudenza della Corte, inoltre, è possibile individuare alcuni punti fermi in merito alla configurazione del reato in questione.


1) Anzitutto, non è necessario che il post incriminato contenga il nome della vittima, essendo sufficiente che la stessa sia facilmente riconoscibile ed individuabile;


2) In secondo luogo, è utile rilevare come la paternità dei contenuti postati da un profilo dotato di nome e cognome non possa necessariamente attribuirsi al proprietario del profilo stesso, non potendosi aprioristicamente escludere un utilizzo abusivo del nome utente e del profilo;


3) Per dimostrare che un post contenuto in un determinato profilo sia stato effettivamente pubblicato dal proprietario dello stesso, è necessario rintracciare l’indirizzo IP di provenienza, al fine di verificare se anche quest’ultimo corrisponda ad un dispositivo elettronico di proprietà dell’accusato, nonché i c.d. file di log, contenenti tempi e orari della connessione (Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 5352/2018).


Ad ogni modo, la giurisprudenza non ritiene l’esatta identificazione dell’indirizzo IP un elemento imprescindibile per la corretta riconducibilità di post al proprio autore, affermando la necessità di prendere in considerazione anche ulteriori indizi, come ad esempio il contegno del reo, desumibile dall'eventuale proposizione di una denuncia di usurpazione di identità o dal tentativo di cancellazione dei post disconosciuti (Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 5175/2018).

 

SCRIMINANTI E CAUSE DI NON PUNIBILITÀ


Nel bilanciamento tra il reato di diffamazione e l'esercizio di libertà costituzionalmente tutelate (come il diritto di cronaca e il diritto critica), il reato in questione viene scriminato nel caso in cui la condotta posta in essere rispetti i limiti - più o meno stringenti, a seconda dei casi - dalla rilevanza e della verità dei fatti narrati, nonché della continenza delle espressioni adoperate.


Inoltre, agli artt. 596 e ss. c.p., il legislatore ha previsto talune speciali cause di non punibilità, ovvero:


1) Prova della verità del fatto (art. 596 c.p.);


2) Esercizio del diritto di difesa (art. 598 c.p.);


3) Provocazione (art. 599 c.p.).

 

CONCLUSIONI


Nel caso in cui, a seguito di querela della persona offesa - per la presentazione della quale è caldamente consigliato rivolgersi ad un legale, che saprà individuare con precisione i necessari elementi di prova da porre a sostegno delle proprie affermazioni - il P.M. ravvisi gli estremi del reato e si orienti per l'esercizio dell’azione penale, si instaurerà un processo, ove la vittima potrà costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento dei danni derivanti dal reato, patrimoniali e non.


Qualora, invece, non si instauri un processo penale (o, comunque, si voglia percorrere una strada diversa) si potrà far valere il diritto al risarcimento dei danni, anche morali, in sede civile.



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