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  • Immagine del redattoreAvv. Valentino Italo Rizzo

Il Comune di Novi Velia vince la causa contro il Vescovo e il Rettore del Santuario

Aggiornamento: 17 mar 2023


Santuario del Sacro Monte contro Comune di Novi Velia: una sentenza storica

Il Tribunale di Vallo della Lucania, con sentenza n. 211/2019 del 28/05/2019, resa dal giudice monocratico Dott. Francesco Guerra, ha rigettato la domanda di rivendica della proprietà della strada "Via Crucis", avanzata dall'Ente Diocesi di Vallo della Lucania e dal Santuario Maria SS. del Sacro Monte di Novi contro il Comune di Novi Velia, rappresentato e difeso dall’Avv. Valerio Rizzo.


 

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Con atto di citazione del 29 aprile 2003, l’Ente Diocesi di Vallo della Lucania, in persona del Vescovo p.t., ed il Santuario Maria S.S del Sacro Monte di Novi, in persona del Rettore p.t., convenivano in giudizio il Comune di Novi Velia, in persona del Sindaco p.t. – nonché, per esigenze di integrità del contraddittorio, anche i Comuni di Cannalonga e Vallo della Lucania – per rivendicare nei confronti di tali Enti la proprietà esclusiva della strada che, sulla sommità del Monte Gelbison, conduce all’area del Santuario di Maria S.S. del Sacro Monte, consistente nella cd."Via Crucis".


A sostegno delle proprie pretese, parte attrice deduceva che mai il Santuario del Monte Sacro e le annesse pertinenze erano entrate a far parte del Demanio pubblico degli Enti convenuti, avendo da tempo immemorabile la Diocesi di Vallo della Lucania – già di Capaccio – esercitato con pienezza e continuità i diritti dominicali.


Con comparsa depositata il 6.10.2003, si costituiva il Comune di Novi Velia, contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto delle pretese attoree in quanto infondate.

Benché ritualmente evocati in giudizio, restavano contumaci il Comune di Vallo della Lucania e il Comune di Cannalonga.


Secondo la prospettazione attorea, l’amministrazione ecclesiastica, già all’entrata in vigore dell’attuale codice civile del 1942, aveva acquistato a titolo originario la proprietà dell’area oggetto del contendere, per possesso pacifico, pubblico e animo domini ultratrentennale: ciò in forza dell’istituto della prescrizione acquisitiva, disciplinata dagli artt. 2105 e ss. del Codice civile del Regno d’Italia del 1865, istituto poi trasformatosi in quello dell’usucapione con il Codice civile del 1942.


In particolare, secondo la tesi attorea, con atto pubblico del 23.9.1323, l’allora feudatario del luoghi, Conte Marzano, donò l’area del Santuario “cum omnibus iuribus et pertinentiis suis” (dunque anche con l’area in cui attualmente sorge la cd. “Via Crucis”) ai monaci Celestini, nella cui disponibilità restò fino all’abolizione dell’ordine monastico (avvenuta nel Regno di Napoli con la legge del 13 febbraio 1807) e la conseguente acquisizione del Santuario al Demanio della Corona.


A detta di parte attrice, proprio un contestuale Decreto dell’allora Re di Napoli, Giuseppe Bonaparte (Decreto regio del 12.5.1807), avrebbe costituito il titolo in forza del quale il Santuario e le relative pertinenze furono affidate dal Re al Vescovo di Capaccio-Vallo, con conseguente ampio ed assoluto dominio di quest’ultimo sulla res.


 

UN CONTENZIOSO SECOLARE

Il Tribunale di Vallo della Lucania, tuttavia, non ha ritenuto condivisibili tali argomentazioni.


Ai fini della decisione, infatti, ha assunto rilevanza pregnante la vicenda processuale risalente agli anni ’70/’80 del XIX secolo, la quale ebbe ad oggetto l’interpretazione del predetto Decreto regio del 12.5.1807 e che già vide contrapposti il Vescovo della Diocesi di Capaccio-Vallo ed il Municipio di Novi Velia, cui prese parte anche il Municipio di Vallo Lucano.


Tale controversia è documentata da due distinte sentenze rese dalla allora competente Corte di Appello di Napoli, una del 16.6.1876 ed una del 1.3.1880.


Dal corpo della prima sentenza si ricava che la lite fu promossa in primo grado dinanzi al Tribunale civile di Vallo Lucano l’8 giugno 1872 dall’allora Vescovo di Capaccio-Vallo, il quale aveva giudizialmente chiesto di essere riconosciuto quale legittimo ed esclusivo amministratore del Santuario e di condannarsi il Municipio di Novi all’immediato rilascio del possesso del Santuario stesso, proprio in forza del Decreto del 12.5.1807 dell’allora Re di Napoli e di Sicilia, Giuseppe Bonaparte.


Tanto premesso, a parere del Tribunale “dal solo contenuto della domanda giudiziale proposta dall’allora Vescovo di Capaccio-Vallo, si può chiaramente evincere che, nell’anno 1872 (data di inizio della citata controversia), il Municipio di Novi si trovava nel possesso del predetto Santuario: se infatti così non fosse, non avrebbe avuto senso una domanda di rilascio avanzata proprio dal predetto Vescovo".


Con la sentenza del 16.6.1876, poi, la Corte di Appello di Napoli rigettò le domande avanzate dal Vescovo di Capaccio-Vallo, riformando integralmente la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Vallo Lucano il 7.6.1875, che aveva accolto la domanda giudiziale proposta dal Vescovo.


Successivamente, la questione fu riesaminata da diversa sezione della Corte di appello di Napoli – adita in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dall’allora Corte di Cassazione di Napoli – la quale, con la sentenza del 1.3.1880 e reinterpretando il citato Decreto regio del 1807, accolse parzialmente la domanda del Vescovo, disponendo che a questi spettava esclusivamente la cura e direzione del Santuario, nonché “l’amministrazione delle oblazioni che in detto Santuario si raccolgono”, ad eccezione del “sopravanzo” annuo di tali oblazioni (destinato ad essere amministrato dal Comune di Novi Velia per “l’uso di maritaggi”).


 

LA DECISIONE


Secondo il Tribunale, però, la sentenza del 1.3.1880 non riconobbe alcuna forma di proprietà del Vescovo sul Santuario e sulle relative pertinenze, attribuendogli piuttosto una forma di detenzione qualificata.


Si legge infatti nella sentenza:

“Ne deriva in definitiva, a parere di questo giudice, che la descritta vicenda processuale degli anni ’70/’80 del XIX secolo, non soltanto ha posto in luce che nell’anno 1872 (data di inizio della citata controversia dinanzi al Tribunale di Vallo Lucano) il Municipio di Novi si trovava nel possesso del predetto Santuario (in forza della richiamata legislazione a cavallo dell’Unità d’Italia), ma soprattutto che il Decreto del 12.5.1807 dell’allora Re di Napoli e di Sicilia non attribuì al Vescovo di Capaccio-Vallo alcuna forma di proprietà o di possesso sul Santuario e sulle relative pertinenze, ma riconobbe – come detto – soltanto una forma di detenzione qualificata sullo stesso, strettamente afferente l’ambito religioso”.


Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto carente la prova del diritto di proprietà anche con riferimento a fatti di più recente verificazione.


Secondo il giudice, infatti, "a fronte del presente giudizio iniziato nell’anno 2003, risulta documentato che, con ordinanza n. 10 del 30.6.1998, il Sindaco del Comune di Novi Velia ha disposto […] la rimozione del cancello in ferro fatto apporre dall’amministrazione ecclesiastica a chiusura della strada qui oggetto di lite: ebbene, all’esito di un lungo procedimento giudiziario, il citato provvedimento di autotutela possessoria posto in essere dal Comune di Novi Velia è stato dichiarato pienamente legittimo, stante la riconosciuta natura pubblica della strada in questione ed il legittimo potere pubblico esercitato per l’autotutela del libero accesso alla strada da parte della generalità della popolazione cittadina ed extracittadina (cfr. sentenza n. 4916/2014 del Consiglio di Stato, prodotta in atti, e conclusiva del citato contenzioso).

Giova altresì evidenziare – come del resto già fatto dal giudice amministrativo (cfr. sentenza n. 1597/2002 del Tar Campania, sezione Salerno, decisione di primo grado del già citato contenzioso avverso l’ordinanza sindacale n 10/1998) – che il dedotto possesso esclusivo e continuativo della strada da parte dell’amministrazione ecclesiastica trova smentita in numerosi atti posti in essere dall’amministrazione locale del Comune di Novi Velia nel corso della seconda metà del XX secolo.”


Per tutte queste ragioni, il Tribunale non ha ritenuto convincenti le argomentazioni proposte da parte attrice a sostegno della propria tesi con riguardo al possesso utile all’usucapione maturato nella seconda metà del XX sec., rigettando così la domanda di rivendica della proprietà della strada "Via Crucis" avanzata della Diocesi di Vallo della Lucania e del Santuario Maria SS. del Sacro Monte di Novi contro il Comune di Novi Velia.




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